In un mondo che sembra sempre più sordo agli avvertimenti della scienza, coloro che osano sfidare le contraddizioni del nostro modello di sviluppo globale spesso si trovano a pagare un prezzo alto. Sono etichettati come “radicali” o “militanti politici” e sono emarginati, ostracizzati, bollati come “catastrofisti”, “pessimisti” o “allarmisti”. Ma la verità è che questi allarmi non sono solo giustificati: sono necessari.
È così che scrive il Prof. Roberto De Vogli nel suo libro “Managing and Preventing Pandemics”, anzi aggiunge come un sondaggio pubblicato su Climatic Change abbia evidenziato come gli scienziati del clima non siano stati abbastanza “allarmisti”.
Nonostante studino da anni la crisi ecologica nei minimi dettagli, non hanno affrontato adeguatamente le minacce esistenziali su larga scala che potrebbero scaturire dai cambiamenti climatici.
I rapporti dell’IPCC, ad esempio, si sono concentrati su impatti specifici del cambiamento climatico, come le ondate di calore sugli anziani o l’innalzamento del livello del mare nelle isole del Pacifico, ma hanno trascurato i rischi più ampi e collettivi che incombono sulla nostra società.
Mitigazione: sogno o possibile realtà?
Bill McGuire, dell’University College di Londra, ha affermato che, mentre la maggior parte degli esperti di cambiamento climatico crede ancora in una piccola finestra di opportunità per ridurre significativamente le emissioni di gas serra, molti scienziati sono molto più preoccupati di quanto lascino intendere pubblicamente.
Alcuni potrebbero aver addolcito la verità per proteggere le loro carriere o per ottenere finanziamenti, ma la realtà è che il mondo deve sapere quanto la situazione sia grave se vogliamo avere una speranza di affrontare la crisi.
Questa negazione o minimizzazione del problema non è solo un errore, è una minaccia esistenziale.
Quando un gruppo di giovani attivisti ha lanciato della zuppa contro il vetro che proteggeva un capolavoro di Van Gogh alla National Gallery di Londra, l’opinione pubblica ha reagito con rabbia. Ma il gesto, per quanto radicale, solleva una domanda cruciale: cosa faremo con l’arte su un pianeta morto?
Giovani ribelli
Il movimento giovanile, rappresentato da gruppi come Extinction Rebellion e Fridays for Future, sta cercando di prendere in mano il proprio destino. Questi giovani non vedono alternative: la loro preoccupazione per il futuro è tangibile e ben documentata.
Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, quasi il 60% dei giovani tra i 16 e i 25 anni si dichiara “molto o estremamente” preoccupato per il cambiamento climatico. Quasi la metà di loro crede che tali paure abbiano già avuto un impatto negativo sulla loro vita.
L’ansia climatica è reale e crescente, soprattutto tra i giovani. Una preoccupazione spesso legata alla percezione che le azioni degli adulti e dei governi siano insufficienti per affrontare la crisi. I giovani si sentono traditi, abbandonati a un futuro incerto e pericoloso e non è difficile capire perché.
Di fronte all’inazione del mondo politico ed economico, i giovani stanno agendo. Criticare e vandalizzare opere d’arte potrebbe sembrare controproducente, ma è un grido d’aiuto. La domanda che pongono è legittima: chi sono i veri irresponsabili? Gli attivisti che denunciano l’inerzia o chi continua a ignorare le cause profonde della catastrofe ecologica?
La storia ci insegna che la critica e la ribellione sono elementi essenziali delle democrazie. Nel caso del cambiamento climatico, il dissenso non è solo un diritto: è una necessità. Se c’è una lezione che dovremmo aver imparato dalla pandemia, è che prevenire future crisi richiede un cambiamento radicale di direzione. E questo significa affrontare le radici profonde dei problemi sociali e ambientali.
Essere radicali non significa necessariamente usare la violenza, ma andare alla radice delle questioni. Se non siamo abbastanza radicali, rischiamo di rimanere superficiali, di non comprendere appieno l’entità dei problemi che affrontiamo.
Un’economia sostenibile
Molti anni fa, De Vogli parlò di “calamità culturale”, sostenendo la necessità di una rapida decarbonizzazione dell’economia e di cambiamenti politici drastici per evitare il collasso ecologico. Idee che non furono ben accolte all’epoca e probabilmente non lo saranno neanche oggi. Ma combattere per una causa giusta non riguarda il successo personale: è una questione di giustizia.
Come disse Bertrand Russell, “coloro che vivono nobilmente… non devono temere di aver vissuto invano”. Il mondo è in continuo cambiamento e sta a noi decidere dove vogliamo andare. Se vogliamo evitare il precipizio, dobbiamo agire ora e dobbiamo farlo con tutto il coraggio che possiamo raccogliere.
Il mondo ha bisogno di persone pronte a costruire un futuro diverso, con la stessa intensità con cui il nostro attuale sistema sta distruggendo il presente. Anche quando ci sentiamo soli e impotenti, è importante ricordare che i cambiamenti avvengono spesso grazie a una minoranza determinata.
In un mondo in crisi, c’è sempre spazio per i dissidenti. Le possibilità di successo potrebbero non essere alte, ma la storia è piena di esempi di come le idee radicali di oggi possano diventare la saggezza comune di domani.
Fonte: R. De Vogli, Managing and Preventing Pandemics. Lesson from Covid-19
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